giovedì 17 dicembre 2015

Star Wars: Il Risveglio della Forza

Era il 1999 quando, in piena adolescenza, andai al cinema a vedere Episodio I: La Minaccia Fantasma, la nuova trilogia-prequel su Guerre Stellari (che da allora si chiamerà anche in Italia col titolo originale di Star Wars). Inutile negarlo le aspettative e le emozioni furono tante, con la consapevolezza che dietro la macchina da presa ci fosse la stessa mente che aveva forgiato una trilogia capolavoro, icona di una cultura pop e apripista per quella geek. Alcune scelte di George Lucas furono discutibili, altre molto criticate, ma senz'altro la magia e la forza fecero presa su di me come su tanti altri giovani e meno giovani. Ieri, 16 Dicembre 2015, ormai più che trentenne mi sono ritrovato al cinema con vari amici (tra cui, con grandissimo piacere, alcuni di lunghissima data) per provare, o almeno tentare di riprovare, quelle emozioni e aspettative già sperimentate più di un decennio fa. Difficile esprimere una considerazione oggettiva su quello che è Il Risveglio della Forza ma dobbiamo provarci.

Premessa (se non vi frega, saltate direttamente alla seconda parte dell'articolo dopo la locandina del film): Sappiamo ormai tutti che nel 2012 Lucas, ormai stanco o forse semplicemente deluso dalle tante critiche dopo la nuova trilogia, decise di vendere i diritti di Star Wars alla Disney per la modica cifra di oltre 4 miliardi di dollari ponendosi in stretta concorrenza con Paperone e Rockerduck. Sappiamo anche come ci fu una spaccatura tra i fan divisi tra cocente delusione e grandi aspettative e sappiamo benissimo come la Disney tentò di rassicurare gli estimatori e i puristi della saga ponendo alla regia J. J. Abrams, noto (fino a quel momento solo a se stesso) fan dell'opera di Lucas. Abrams è un personaggio abbastanza ambiguo, famoso per aver creato Lost, La (maiuscola d'obbligo) serie televisiva che ha rilanciato negli Stati Uniti e nel mondo la fruibilità dei serial decretando il successo di un format originale ma pieno zeppo di incongruenze. Anche lì spaccature tra fan boy e gente disillusa, e va subito detto, J. J. Abrams non delude anche con Episodio VII questa sua peculiare tendenza a spaccare il pubblico. Devo però sottolineare come nel corso degli anni, la figura di questo controverso regista che ho sempre considerato una sorta di figlio di papà e sopravvalutatissimo negli ambienti Hollywoodiani, abbia dimostrato di saperci fare con pellicole quali Super 8 e, di recente, con i reboot di Star Trek (apprezzati dal sottoscritto, ma da profano della serie). Per questo motivo le mie personali aspettative erano mediamente alte per il sequel (o reboot?) della saga di Star Wars, ma inutile perdersi in altre chiacchere (sto prendendo tempo lo so) e dirigiamoci con un salto nell'iperspazio al commento di questo attesissimo Star Wars Episodio VII: Il Risveglio della Forza.
Questa locandina ha tratto in inganno parecchie persone anche se la dimensione delle varie figure è  eloquente.
Tanto tempo fa in una galassia lontana lontana...
(premi Play per un'esperienza più avvolgente - se non dovesse funzionare clicca qui e qui)
*** SPOILER FREE ***
L'incipit de Il Risveglio della Forza sembra continuare la saga in tutto e per tutto con personaggi noti, molti volti nuovi e lo scontro tra luce e oscurità, all'interno della Forza, che ha sempre contraddistinto anche i precedenti capitoli. Non voglio rivelare elementi della trama per non rovinare la visione a chi deve ancora vederlo e leggerà questo articolo per caso ma, a scanso di equivoci, tutta la pellicola è un susseguirsi di deja vu, ammiccamenti vari, citazioni e auto glorificazioni dell'universo creato da George Lucas. Detto questo, seppur piacevole per i fan e assoluta novità per chi si sta avvicinando ora a questo meraviglioso e fantascientifico mondo il punto debole del lavoro di Abrams sta tutto nello script. Infatti avvenimenti, personaggi e situazioni non presentano novità assolute ma si rifanno a classici cliché mentre la caratterizzazione dei presonaggi è lasciata un po' lì, in disparte, appena abbozzata. E' paradossale che, nonostante il carisma di vecchie conoscenze, l'unico personaggio a destare un minimo di curiosità e una parziale originalità sia proprio il villain, se così lo vogliamo chiamare, di questo episodio. Non ci sono spoiler ma è proprio quel Kylo Ren che capeggia nella locandina, e qui si spiega la mia didascalia, che risulta ambiguo ma comunque più credibile dei protagonisti "buoni" un po' troppo forzati nel loro compiere azioni e sospinti da motivazioni personali o inspiegabile (la forza?) non molto convincenti. La forza in questo capitolo è un tema importante ma potrebbe far storcere il naso a molti, poichè è un'abilità innata di alcuni, percepita da chi già la padroneggia, ma che necessita comunque di qualcuno che sappia indicare la via per incanalare tutto questo potere. Sappiamo tutti che Obi-Wan Kenobi e Yoda non potranno mai essere eguagliati come personaggi, ma un approfondimento migliore sulla forza avrebbe senz'altro giovato alla pellicola. Invece Il Risveglio della Forza punta molto sulla frenesia, un po' come in Episodio IV: Una Nuova Speranza, con avvenimenti che proiettano i protagonisti in vicende apparentemente più grandi di loro, ma dall'altro lato della medaglia si dimostra troppo frettoloso e apparentemente lacunoso in certi contenuti. Non sto dicendo che siamo di fronte a un film di Michael Bay, tutto esplosioni e azioni, ma Il Risveglio della Forza, dotato di apprezzabilissimi e stupefacenti mezzi tecnici in cui eccelle, non riuscirà a trasmettere alcune sensazioni già vissute ai fan di vecchia data. Va da sè che le giovani generazioni, dipendenti ormai da certi meccanismi collaudati e meno riflessivi, forse troveranno in questo Episodio VII il lancio di una nuova saga davvero entusiasmante, e lo spero per loro. Ancora una volta mi schiero a metà e da amante del cinema non posso che apprezzare i tecnicismi, il ritmo e le inquadrature, che seppur non originali o geniali fanno il loro mestiere, ma come fan mi ritrovo anche deluso per certi personaggi che sarebbero potuti diventare nuove icone, e sicuramente lo saranno per molti, ma che invece sembrano solo accenni di quel che faranno o diventeranno più avanti negli Episodi VIII e IX.

Ieri l'uscita dalla sala cinematografica (abbastanza vuota, ma siamo nel Sulcis-Iglesiente non a Los Angeles), quindi, è stata soddisfacente a metà: da un lato grazie all'acquisita consapevolezza che non è stata snaturata una saga trattata, invece,  in modo molto ossequioso (forse troppo); ma dall'altro lato con la scoperta che, in questo nuovo inizio di Star Wars, si è voluto puntare tutto su elementi collaudati e di sicuro impatto senza prendere rischio o provare a introdurre novità, anche sbagliate. Ecco, questo è ciò che ha probabilmente deluso molti, oltre al tentativo di sostituire dei ruoli identici con altri personaggi non caratterizzati a dovere.

In conclusione Star Wars Episodio VII: Il Risveglio della Forza mi è piaciuto? Promosso? Bocciato?
Senz'altro ci troviamo di fronte un film potente, sospinto da mezzi tecnici ineguagliabili che faranno la gioia di molti. Ma per il resto? Se non troveremo un nuovo deludente Jar Jar non ci sarà nemmeno un nuovo Luke o un nuovo Anakin, nè tanto meno nuove situazioni o pianeti realmente originali in quest'immensa galassia lontana lontana che da quasi quarant'anni fa parte della nostra cultura e questo, purtroppo al momento, è certo.

Piccola nota, stonata, per il sottoscritto: la colonna sonora di John Williams è sempre di altissimo livello e il leit motiv di questo settimo episodio è davvero avvincente ma.. la mia speranza di trovare un brano alla pari di Duel of the Fates (vedi playlist) ne Il Risveglio della Forza è risultata del tutto vana :-(

lunedì 12 ottobre 2015

Un tranquillo weekend di paura (crediamoci)

Questo fine settimana ho, dopo tempo immemore, potuto vedere non uno ma ben due film horror..e che film!

Partiamo dal primo: Wolf Creek 2

Mick Taylor interpretato da John Jarratt svetta nella locandina di Wolf Creek 2

Seguito di un discreto horror australiano del 2005, diretti entrambi da Greg McLean, Wolf Creek 2 ha come punto in comune la presenza di Mick Taylor psicopatico nazionalista australiano il cui scopo finale è epurare l'amata Australia dagli irrispettosi giovani turisti e la presenza, seppur marginale, del Wolf Creek (enorme cratere lasciato da un meteorite centinaia di migliaia di anni fa). Tralasciando il fatto che dispone di una mira invidiabile, un senso dell'orientamento straordinario e, in generale, uno spirito di sopravvivenza che manco Bear Grylls, il cattivone di turno è davvero imbattibile. La trama del film è parecchio simile, apparentemente, al primo film con dei giovani turisti stranieri a spasso per l'Australia (in autostop, mossa molto saggia), purtroppo lo sfortunato incontro con il nostro Mick porterà all'inevitabile massacro (spoiler free, c'è da aspettarselo) già preannunciato nei primi 10 minuti della pellicola, assolutamente slegati dal resto del film ma poeticamente splatter. La cosa interessante di Wolf Creek 2 è che ci troviamo di fronte a un horror splatter\slasher molto veloce, capace comunque di sorprendere grazie alla comparsa del vero protagonista solo in un secondo momento (tralasciando il fatto che il reale principe del film rimane lui, Mick Taylor) e privo di cali.
Insomma se state pianificando di fare una vacanza in Australia ve lo consiglio, considerando che è vagamente tratto da una storia vera (il personaggio di Mick Taylor è liberamente ispirato a Ivan Milat, il più famoso e forse unico serial killer della storia australiana) come testimonia l'incipit che cita la sparizione di circa 30.000 persone ogni anno in Australia, noto paese ospitale per l'uomo (chi ha detto squali, ragni, serpenti ecc.?). In conclusione il film si lascia guardare, crea suspence in varie parti anche se non fa propriamente paura, a meno che non siate di stomaco debole nel vedere sangue finto a iosa e headshot.

Ed eccoci a The Lazarus Effect.

Olivia Wilde bella e dannata in questa pellicola.

Approccio horror molto differente per The Lazarus Effect di David Gelb, regista abbastanza sconosciuto e che rimarrà nell'anonimato anche dopo questo film che vede, però, un cast di tutto rispetto. Gli attori sono infatti il punto forte della pellicola, giovani e interessanti come la protagonista Olivia Wilde, mentre il resto della crew attinge alle serie tv americane a piene mani. Ammetto che la vista di Donald Glover mi faceva sperare nella comparsa di Danny Pudi da un momento all'altro (non conoscete Community? Male) ma purtroppo non sarà così. Venendo alla trama siamo di fronte a un incipit già sviscerato al cinema anche se Gelb dimostra un pizzico di originalità: un gruppo di ricercatori effettua degli esperimenti su degli animali morti iniettando un siero (nome in codice Lazarus) in grado, in teoria, di riattivare i sistemi neurali e, di fatto, resuscitarli. Casualmente proprio quando la giovane videomaker (?) Eva inizia a girare un documentario sul lavoro di ricerca del gruppo, ci sarà una sorprendente svolta che porterà a una serie di eventi che accadono in rapida successione e che suscitano uno spontaneo "That escalated quickly" a fine visione.Qualche sobbalzo, grazie a scelte registiche abbastanza in linea con la tendenza horror moderna, è presente anche se, in generale, The Lazarus Effect non fa così tanta paura. Il suo più grande difetto, però, è quello di aver buttato alle ortiche un'ipotetica idea vincente e non aver sfruttato a dovere un discreto cast, preferendo personaggi macchietta e banalità da minestra riscaldata. Sicuramente meglio Wolf Creek 2 in questo caso.

E questo è tutto, alla prossima sporadica volta (che potrebbe essere molto presto se riuscirò a vedere The Green Inferno).

Au revoir!

martedì 11 agosto 2015

Un film al giorno/5

Dopo alcuni giorni di pausa rieccoci con un nuovo film di cui parlare. Restando in tema di futuro e IA, così come per Ex Machina, oggi scriverò di Her, una pellicola scritta e diretta da , che ha ottenuto molti riconoscimenti e vede una grande prova attoriale di che ritroviamo dopo il commento a Vizio di Forma.

RECENSIONE\COMMENTO: HER
(Solo una statuetta, Miglior Sceneggiatura Originale, è stata attribuita a Her rispetto alle 5 candidature)
Ambientato in una Los Angeles futuristica, ma non troppo, Her racconta la vita di Theodore Twombly (Phoenix) uomo solitario e, apparentemente, introverso. Le sue giornate sembrano monotone tra lavoro, di professione scrittore di lettere per altri, e utilizzo di device tecnologici (in questo futuro le persone tramite auricolare e dispositivo video portatile sono in grado di comunicare costantemente con il proprio computer, internet e altro ancora) che non lasciano spazio per vere relazioni interpersonali. Ben presto scopriamo che Theodore si è da pochi mesi separato dalla moglie, di cui è ancora innamorato, e per questo si è chiuso in se stesso. La sua vita ha una svolta quando, attratto da uno spot commerciale, decide di acquistare e installare OS1 il primo sistema operativo dotato di un'intelligenza artificiale e in grado di evolversi e adattarsi in base alle esperienze maturate con l'utente e il resto del mondo. Quella che potrebbe sembrare una semplice interazione uomo macchina ben presto si trasforma in qualcosa di più profondo e completo.

(L'installazione di OS1 è senz'altro più rapida di Windows 10)

Inutile inserire altri elementi nella trama di Her in quanto rovinerebbero la visione, consigliatissima, dove le due ore passano agevolmente in un turbinio di emozioni grazie alla sensibilità innata di Spike Jonze (regista tra l'altro di Essere John Malkovich, Il ladro di orchidee e Nel Paese delle Creature Selvagge). Her, o tristemente "Lei" in Italia, è una pellicola che punta tutto sulla personalità del suo cast, notevole, con un Joaquin Phoenix in stato di grazia, la voce dell'OS1 Samantha doppiata da Scarlett Johansson (in Italia la voce è di Micaela Ramazzotti che si comporta, salvo alcune débâcle, egregiamente in questo ruolo), Amy Adams e Rooney Mara. Tutte attrici bellissime non c'è che dire, compresa una piccola parte per Olivia Wilde, ma anche brave. Oltre alla profondità della sceneggiatura e al super cast Her presenta una bellissima fotografia e un'ottima colonna sonora, oltre ad un ottimo montaggio coadiuvato da una regia ben salda. A differenza di Ex Machina l'intelligenza artificiale non è tangibile ma è dotata solo di voce e il messaggio è completamente diverso ma abbiamo qualcosa che accomuna le due pellicole: in entrambe la mente delle intelligenze artificiali viaggia molto più velocemente di quella umana e si espande in modo rapido e incalcolabile.
Non ci sono molte altre parole da spendere su Her, è un grandissimo film dotato di carattere, sentimenti e prove attoriali notevoli. La visione è consigliatissima in quanto non solo è un film che intrattiene grazie a una storia bella e ben scritta ma fa ragionare e interrogare sui sentimenti umani e sull'umanità in generale.

sabato 8 agosto 2015

Un film al giorno/4

Oggi vi lascio un commento abbastanza stringato anche perchè parlerò di una commedia francese leggera ma con classiche strizzatine d'occhio allo spettatore più smielato: La famiglia Bélier.

RECENSIONE\COMMENTO: LA FAMIGLIA BELIER

Già dalla locandina si intuisce che sarà un film per "famiglie".


Negli ultimi anni il cinema francese, al contrario di quello italiano, è riuscito a rinnovarsi rimanendo comunque nei confini delle sue tradizioni con commedie più allegre (vedi Giù al Nord) o più sofisticate (Cena tra amici) che hanno raccolto consensi sia da pubblico che da critica. Inutile dire che anziché prendere esempio da loro, i cineasti italiani hanno realizzato remake in chiave nostrana (Benvenuti al Nord e al Sud e Il Nome del Figlio) realizzando prodotti meno freschi e meno interessanti. Ma non voglio dilungarmi più di tanto a parlare della decadenza del nostro cinema perciò iniziamo subito con la trama de La Famiglia Beliér di Éric Lartigau.
Paula, protagonista del film, è una ragazzina adolescente che non ha ancora avuto le prime mestruazioni (credo sia un fatto quasi impossibile, vista la precocità dei giovani d'oggi, ma sorvoliamo) ma la sua vita non è normale come tutti i suoi coetanei. Paula è l'unico componente della famiglia a non essere sordomuta in quanto padre, madre e fratellino non hanno il dono dell'udito e della parola. Dunque Paula si divide tra scuola, casa e lavoro dei genitori, allevatori e produttori di formaggio, facendo da interprete tra loro e il resto del mondo. La vita della ragazza ha una svolta quando l'insegnante di canto del suo liceo, il signor Thomasson, riconosce in lei un talento innato per la lirica e fa leva su di lei affinché coltivi questo suo dono. Di pari passo con questa novità giunge il rapporto un po' ambiguo con un ragazzo della scuola anch'esso dotato nel canto, Gabriel. In questo bel quadretto adolescenziale si inserisce la decisione del padre di Paula di candidarsi a sindaco del loro paesino, in disaccordo con la linea politica del primo cittadino uscente, coinvolgendo dunque tutta la famiglia e in particolar modo la figlia, strumento essenziale per comunicare col resto dei cittadini.
Inutile dire che vista la disabilità di tre quarti della famiglia le scene divertenti saranno molteplici, soprattutto nella prima parte che ricorda una classica commedia spensierata. Nella seconda e ultima parte del film invece assisteremo a una focalizzazione verso i sentimenti di Paula e la sua maturazione, con il regista che punta tutto sulla sentimentalità più che sulla risata.
Inutile dilungarsi su aspetti tecnici o altro dato che la pellicola punta tutto su contenuto e recitazione, azzeccati entrambi, più che su virtuosismi o scene spassose.

La Famiglia Beliér è una commedia che sa far ridere e piangere nonostante in certi punti faccia troppa pressione sull'emotività delle situazioni adolescenziali e sul canto, componente che diventa quasi ossessiva nella parte finale del film. A ben vedere non farà ridere di gusto come i film di Dany Boon ma risulta comunque una pellicola gradevole e ben confezionata.

venerdì 7 agosto 2015

Un film al giorno/3

Quest'oggi parlerò di un film abbastanza controverso in quanto tratto dall'omonimo romanzo di Thomas Pynchon, scrittore tutt'altro che semplice. Il titolo? Vizio di Forma, un noir un po' grottesco, con venature ironiche e sprazzi di surrealismo. Come sempre il rischio di trovarci di fronte a un polpettone è sulla porta ma, stavolta, il difficile compito è stato affidato a un regista coi controca**i, perdonando il francesismo: (Magnolia, Il Petroliere, The Master giusto per citare alcuni suoi lavori).
 
RECENSIONE\COMMENTO: VIZIO DI FORMA

La locandina ricorda molto da vicino la copertina del libro da cui è tratto il film
La trama di Vizio di Forma potrebbe sembrare abbastanza lineare e rodata per il genere giallo\noir, ciò che non bisogna sottovalutare, però, è la varietà di intrecci incredibile che andrà a dipanarsi per tutta la durata del film.

Siamo nella Los Angeles di inizio anni Settanta e il protagonista Larry "Doc" Sportello, , è un investigatore privato non alcolizzato bensì strafatto (o, come spesso viene pronunciato durante il film, "fattone"). La "tranquilla" vita lavorativa di Doc viene stravolta dalla richiesta d'aiuto di Shasta (), sua ex fiamma, la quale si trova nel mezzo di un complotto per far fuori il suo amante, nonchè magnate dell'edilizia e miliardiario Mickey Wolfmann (). Costui rischia di essere internato dall'attuale moglie, aiutata dal suo amante, in modo da ottenerne la ricchezza.

Benicio Del Toro riesce sempre a essere una degna spalla di personaggi bruciati dalle droghe, vedi Paura e Delirio a Las Vegas, anche qui è  una sorta di avvocato.
Ok, la trama non sembra complessissima detta così ma, una volta iniziata la visione, gli incontri di Doc con i personaggi più disparati faranno sì che le sottotrame aumentino a dismisura. Siamo di fronte a un True Detective Season 2 in salsa tossicodipendente e grottesco quindi, fidatevi, senza una visione attenta (ma anche così sarà un'ardua impresa) rischiate di perdere alcuni passaggi. La complessità della pellicola, così come del libro da cui è tratta, è innegabile e spesso e volentieri si assiste ad alcune parti estremamente lente e macchinose che potranno far desistere alcune fasce di spettatori.
Sul lato tecnico il lavoro del signor Anderson è ineccepibile ma ciò che colpisce di più è la fotografia: rende pienamente giustizia ad ambientazioni e periodo storico con colori invecchiati e assolutamente attinenti agli anni Settanta.
Sulle prove recitative non ci sono dubbi: il cast stellare paga e lo fa a partire da Joaquin Phoenix, perfetto fattone, passando per comprimari quali o (qui vanta una piccola parte, ma si nota) giusto per citarne alcuni.
La colonna sonora è stupenda e arricchisce moltissimo Vizio di Forma, proiettandoci di prepotenza negli anni Settanta e accompagnando la maggior parte delle fasi del film, soprattutto inizialmente, mentre va lentamente a spegnersi nelle fasi finali, più oniriche e ponderate.


Che dire dunque su Vizio di Forma? Siamo di fronte sicuramente a una pellicola valida anche se abbastanza complessa e lenta. Merita la visione, con qualche riserva, grazie a un ricco cast, una salda regia e a delle musiche perfette. Se vi ha incuriosito la trasposizione cinematografica sappiate che il libro sarà molto probabilmente più complesso e macchinoso ma Pynchon merita la lettura soprattutto da chi, come me, ancora non l'ha fatto.

giovedì 6 agosto 2015

Un film al giorno/2

Il film di cui voglio parlare oggi è uscito da poco nelle sale italiane, passato un po' in sordina per via di titoloni quali Pixels (e voglio mettere da parte l'ironia perchè secondo me è davvero un film geniale quello) ma merita senz'altro la visione: Ex Machina.
E perchè, chiederete senz'altro, visto che risulta opera prima alla regia di  Alex Garland? Andiamo a scoprirlo nelle prossime righe, come sempre spoiler free.

RECENSIONE\COMMENTO: EX MACHINA
Il viso di Alicia Vikander è davvero ipnotico.
La trama di Ex Machina è molto interessante e sempre attuale per i nostri anni: Caleb Smith è un programmatore per Blue Book, [occhio alla citazione al libro blu di Wittgenstein che, per i profani come il sottoscritto, è tra i padri della logica e della filosofia del linguaggio] il motore di ricerca più utilizzato del pianeta (i paragoni con Google già si sprecano) e vincitore di una lotteria interna il cui premio consiste nel poter visitare e risiedere per una settimana nella magione di Nathan Bateman, magnate della società. Fin qui nulla di strano se non fosse che, una volta giunto nell'immensa proprietà del suo capo (viste le sconfinate foreste con tanto di montagne e cascate) e aver fatto la sua conoscenza, Caleb si troverà volente o nolente coinvolto in un test fuori dall'ordinario: mettere in atto il test di Turing su un prototipo di I.A. chiamato Ava.
Follia? Genio? Chi può dirlo ma ciò che è certo è l'aspetto di Ava il cui viso, stupendo, ipnotizza fin da subito il giovane e onesto Caleb (per una volta non si potrà dire che l'uomo guarda subito culo e tette nelle donne, vedi locandina e artwork).
Sotto il vestito fibra ottica, meglio di niente no?
A ben vedere la trama è abbastanza originale e tratta una tematica sempre attuale in questi giorni, i risvolti però saranno sorprendenti e quell'Alex Garland, alla prima prova da regista, dimostra in realtà la sua grande abilità di scrittura in fase di sceneggiatura (non a caso sono suoi gli script di 28 Giorni Dopo, Sunshine e Non Lasciarmi). Il cast ridotto a pochi attori è davvero sorprendente con nelle vesti del timido programmatore Caleb, il visionario e allo stesso tempo megalomane Nathan e, infine, lei già co-protagonista ne Il Settimo Figlio, fantasy mezzo trash e non troppo ben riuscito, la cui espressività è davvero importante in Ex Machina. A livello di regia ci troviamo di fronte a una buona prova con un montaggio funzionale ed effetti speciali usati nei punti giusti e davvero ben riusciti. La fotografia è apprezzabile, rendendo l'abitazione\laboratorio di Nathan claustrofobica al punto giusto e, allo stesso tempo, finestra su una natura incredibile e smisurata che si trova all'esterno.

Credo che sia palese la mia opinione su Ex Machina: è un film riuscito, semplice ma che nasconde nei dialoghi e nei gesti una grossa profondità. Uno di quei film che, per gli amanti della fantascienza non pacchiana ma non solo, lascia un bel ricordo e una serie di riflessioni dopo la visione.

mercoledì 5 agosto 2015

Un film al giorno/1

Capita, a volte, di tornare sui propri passi e riprendere le cose lasciate a metà, un po' come questo blog nato per scrivere di cinema e di altre cose che mi parevano interessanti. Da tempo pensavo di tornare a scrivere in digitale i commenti ai film che guardo al cinema, essendo regredito al vecchio carta e penna da diverso tempo, e ho colto la palla al balzo con quest'idea di scrivere il commento di un film al giorno, non necessariamente visionati in sala ma anche comodamente in TV o al PC.

Quale periodo migliore se non quello estivo dove l'oscurità della propria casa protegge dall'imperante calura? Ecco, per l'appunto, comincio con una pellicola uscita da poco nelle sale italiane e che ha fatto parlare di sè (ne siamo sicuri?) in quanto trattasi di un horror dalle tematiche apparentemente classiche: Babadook.

RECENSIONE\COMMENTO: BABADOOK
(I commenti positivi si sprecano, come al solito)
L'estate, si sa, è sempre stato il periodo migliore per buttare nelle sale italiane film horror o, come sta avvenendo negli ultimi anni, pellicole uscite da un anno o più negli Stati Uniti e che, per un motivo o per un altro, non sono state proiettate nel nostro paese. Inutile dire che la maggior parte delle volte si tratta di film di cui faremmo volentieri a meno ma, come si dice, questo passa il convento per gli amanti del cinema in sala. Fatte le dovute premesse parto col dire che Babadook appartiene alla prima categoria, l'horror, e apparentemente è stato apprezzato dalla critica ma sappiamo tutti che non è necessariamente una cosa positiva, vediamone il motivo.
Ciò che mi ha spinto a recarmi in sala a vedere il primo lungometraggio, e attualmente l'unico, dell'attrice e regista australiana è stata la mia passione per il genere horror e la mancanza di scelta nella mia città. Consapevole che i film con presenze soprannaturali ormai imperversano negli horror moderni ho voluto dare una possibilità a una pellicola che tratta una tematica classica ma lo fa in modo originale, l'uomo nero o, in questo caso, Babadook che spaventa le notti del giovane protagonista Sam (, 7 anni). 
Andiamo con ordine: Amelia è una giovane vedova che ha perso il marito in un incidente stradale. La particolarità è che la tragica morte è avvenuta durante il tragitto da casa all'ospedale per far nascere il primogenito della coppia.Abbastanza scontato il fatto che il bambino privato del padre, e nato in presenza di una tragedia, sviluppi una personalità che dire anormale è poco. Mentre Amelia soffre di un incubo ricorrente in cui rivive la notte dell'incidente, il piccolo Sam è convinto della presenza di alcuni mostri che lo perseguitano nel sonno, perciò inizia a costruire armi per la difesa (per quanto improbabile che un bambino di 6-7 anni sia in grado di fare ciò, per quanto intelligente) e, letteralmente, opprime la madre durante le notti privandola del sonno ristoratore. Per questo la credibilissima Essie Davis appare come una donna distrutta e particolarmente esaurita, diremmo noi, a causa della mancanza di sonno e dell'insoddisfazione nel vedere un figlio piuttosto folle. La svolta avviene col ritrovamente di un libro, Mister Babadook, casualmente rinvenuto nella libreria domestica e, sempre casualmente, di cui nessuno ricorda la provenienza. Finalmente il bambino individua il mostro che vuole far fuori la sua famiglia: madre, cagnolino (immancabile per aumentare l'angoscia) e lui stesso. Da qui in poi assistiamo ai classici cliché che porteranno la madre dal negare l'esistenza di Babadook al trovarsi fisicamente coinvolta nella vicenda, con un finale inaspettato e mal digerito dal sottoscritto e di cui non parlerò per evitare spoiler.
(Le illustrazioni del libro Mister Babadook sono davvero belle e inquetanti, lo riconosco)
Sul versante tecnico il film sfrutta molto bene la classica casa incasinatissima con vecchia mobilia e parquet in legno, particolarmente scricchiolanti, per indurre lo spettatore a provare un senso di oppressione e angoscia. La fotografia è discreta, niente di eccezionale, e fa il suo dovere con i classici giochi di luci e ombre mentre sonoro e musiche sono ormai quelle dei canoni horror: rumori assordanti e inquietanti, volumi che aumentano all'improvviso e brani quasi assenti (punto a favore questo, per creare un'atmosfera più claustrofobica). Il punto forte di Babadook è la recitazione: pensare che un bimbo di sette anni riesca a recitare così bene è quasi impensabile, il giovane Noah Wiseman non solo riesce a sembrare psicopatico ma è capace di farsi odiare profondamente nella prima parte del film. Allo stesso tempo riesce a far suscitare, in alcune occasioni, compassione ed empatia soprattutto nell'ultima parte. In egual modo la giovane mamma, Essie Davis, è credibilissima come donna frustrata e con una grossa crisi di nervi in vista, riuscendo a instillare nello spettatore la sua inquietudine e ansia per tutta la durata della pellicola (appena un'ora e mezza).
Purtroppo gli attori co-protagonisti non equivalgono i protagonisti. Ad esempio Claire, la sorella di Amelia, e le sue amiche, per non parlare poi del dottore, dei poliziotti ecc. tutti personaggi macchiette e stereotipate che in alcune occasioni, presentano situazioni grottesche. Ammettiamolo, se sono volute siamo di fronte a dei tocchi di genio così come le citazioni che si possono cogliere nella pellicola, a partire dall'aspetto del Babadook e di alcune situazioni, ma in verità c'è il timore che siano solo personaggi abbozzati.

Dunque, in conclusione, mi è piaciuto Babadook? Insomma, viste le premesse mi aspettavo un horror soprannaturale, con il classico uomo nero che spaventa i bambini, rivisitato e spinto da qualcosa di più fresco a livello di trama. Invece la pellicola di Jennifer Kent è riuscita a caratterizzare benissimo i due protagonisti, grazie anche a delle prove recitative credibili, ma poteva osare di più a livello di trama evitando di puntare tutto sulla parte finale, dove l'esplosione della follia diventa preponderante e l'angoscia e la paura si concretizzano. Il libro Mister Babadook è sicuramente da acquistare, a partire da quest'autunno e dopo una prevendita fatta nei mesi passati, dal sito ufficiale del film e può darsi che a lungo andare questa pellicola diventi un film cult. Considerando che negli ultimi anni il genere horror è andato declinando sempre più non mi stupisco, quindi, che alla prima opera decente si gridi al miracolo.